Studiare, poi, non basta: per imparare una lingua straniera, bisogna viverla. Masticarla, cantarla, lasciarsene conquistare. E invece. Se confrontiamo il nostro Paese con Svezia, Danimarca, Olanda – le regine della classifica Ef Epi, che da dieci anni misura la competenza dell’inglese degli adulti nel mondo - , usciamo dal confronto appiattiti nella mediocrità: 28esimi su 70, dal Cile alla Libia, e tra i più scarsi del Continente. Le ore scolastiche dedicate all’insegnamento delle lingue straniere sono simili, ma i paesi nordici eccellono perché l’immersione nell’idioma inizia fin da piccoli, con i cartoni animati non doppiati. Poi arrivano i film in lingua originale, i siti web consultati in inglese, i viaggi. Anche il contesto familiare fa la sua parte: se sono papà e mamma a dare l’esempio, ascoltando in originale tutto ciò che si può, leggendo libri in inglese, nei piccoli si sviluppa una sensibilità diversa alle lingue. «I ragazzi italiani brillano tutt’al più per la grammatica, ma sono indietro nell’orale: conversazione e ascolto», dice Natalia Anguas, amministratore delegato di Ef Italia.