Lo sproloquio comico del traduttore automatico | NOTIZIE DAL MONDO DELLA TRADUZIONE | Scoop.it

I traduttori automatici non capiscono quasi niente: si confondono, ignorano il contesto, spesso persino le concordanze grammaticali e la catena sintattica, per non dire dei registri o dello stile. Il risultato è, il più delle volte, un nonsense sgrammaticato, uno sproloquio involontariamente comico e pressoché incomprensibile. Nessun programma digitale è riuscito, finora, a eguagliare il traduttore in carne e ossa, specie quando si tratta di un testo letterario. Un saggio di Umberto Eco, dedicato alla traduzione e datato 2003 (Dire quasi la stessa cosa), si apriva con un capitolo sull’ottusità traduttoria di Altavista: ebbene, da allora pochi progressi sono stati compiuti. Bene ha fatto, dunque, Tirature 2016, l’annuario della Fondazione Mondadori e del Saggiatore, a rendere omaggio all’arte di tradurre. Eppure, mentre a parole gli si riconosce lo statuto di «co-autore» e lo si dipinge come figura simbolo della globalità, il traduttore continua a godere di compensi molto bassi, se è vero che le case editrici italiane pagano in media 12-14 euro lordi a cartella, con casi di dumping in cui si accettano 6-8 euro (la revisione editoriale interviene eventualmente qua e là per tappare le falle della fretta). Tradotto: dignità economica quasi nulla per uno dei lavori più difficili, necessari e insostituibili del mondo.