La Genesi racconta che i primi uomini avevano un solo linguaggio: questo li rese così ambiziosi e così destri che cominciarono a costruire una torre alta fino al cielo. Dio fu offeso dalla loro audacia, e li punì sottilmente: non con la folgore, ma confondendo i loro linguaggi, il che rese impossibile proseguire la loro opera blasfema. … Se ne può concludere che le differenze linguistiche erano sentite come una maledizione fin dai tempi remoti. Una maledizione esse sono rimaste, come sa chi ha dovuto soggiornare, o peggio lavorare, in un paese di cui non conosceva la lingua … Inoltre, a livello più o meno consapevole, per molti chi parla un’altra lingua è lo straniero per definizione, l’estraneo, lo “strano”, il diverso da me, e il diverso è un nemico potenziale, o almeno un barbaro: cioè, etimologicamente, un balbuziente, uno che non sa parlare, un quasi-non-uomo. Per questa via, l’attrito linguistico tende a diventare attrito razziale e politico, altra nostra maledizione. Ne dovrebbe seguire che chi esercita il mestiere di traduttore o d’interprete dovrebbe essere onorato, in quanto s’adopera per limitare i danni della maledizione di Babele; invece questo di solito non avviene[1], perché tradurre è difficile … il traduttore viene pagato male, e chi potrebbe essere o diventare un buon traduttore si cerca un mestiere più redditizio. (Primo Levi)