Tradurre Murakami significa, dall’inizio alla fine, affrontare problemi concreti, cercare pazientemente nella propria cassetta degli strumenti la parola giusta e, una volta trovata, valutarne il colore, il peso, la densità; giudicarla perfetta e doverla poi, con rammarico, mettere da parte perché non “lega” col resto della frase. Oppure capita di usare la lima per ridurre le ripetizioni, sapendo che in giapponese sono accettate e in italiano no. Alcuni giudicano la ripetitività di Murakami un difetto, ma anche se a volte io stesso la trovo irritante, devo ammettere che le sue ripetizioni non indeboliscono il racconto, anzi lo rafforzano. E alla fine diventano una cifra stilistica. Per questo bisogna fare attenzione. Limare troppo modificherebbe il profilo dei suoi testi, alterandone i lineamenti. Allo stesso tempo, riprodurre integralmente ogni ripetizione, ignorando che giapponese e italiano obbediscono a diverse regole di logica e ritmo, provocherebbe nel lettore un rifiuto.