Silvia Argurio intervista Massimo Arcangeli | NOTIZIE DAL MONDO DELLA TRADUZIONE | Scoop.it

Chi ha pronosticato la morte imminente dei nostri dialetti, venti o trent'anni fa, si è clamorosamente sbagliato. I dialetti italiani, benché contaminati (anche endemicamente, se metropolitani), sono più vivi che mai. Restituiscono la percezione di un'adesione al local che, scavallando i confini nazionali, tenta l'abbraccio con il global. Poche opere possono reggere il confronto con la Commedia sul piano di un glocal ante litteram, che assecondi il doppio scopo di rinsanguare identità linguistiche “particellari” e di provare a nutrire una dialettalità universale e atemporale in un momento in cui anche il più circoscritto dei dialetti è, come ogni altra cosa, in continuo, instabile, precario movimento. Più che la volontà di attingere al pensiero di Dante, per il resto, conta quella di riprenderne l'esempio. È l'irresistibile fascino per la natura conflittuale, antagonistica, manichea dell'esperienza umana e artistica dantesca a guidare perlopiù la mano di molti traduttori nostrani.