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Addio contadino, i campi li coltiveranno i robot

Addio contadino, i campi li coltiveranno i robot | Augmented World | Scoop.it

Nelle campagne inglesi un campo è stato coltivato, dalla semina al raccolto, solo con mezzi autonomi, droni e robot. Il preludio all'estinzione dei contadini?

Con la guida autonoma e la robotizzazione saranno molti i lavori che spariranno o che, comunque, verranno ridimensionati. Tra questi c'è anche quello dell'agricoltore. Non ne siete convinti? Posate la zappa e leggete. Un gruppo di ricercatori di Shropshire, in Inghilterra, è riuscito a seminare e raccogliere un campo di orzo usando soltanto robot. Nessun umano, insomma, ha messo piede nel campo.

Sebbene oggi siano molti i passaggi automatizzati dell'agricoltura, di rado lo è l'intero processo, dalla semina alla cura per passare al monitoraggio e infine alla raccolta. Il progetto "Hands-Free Hectare" ha preso il via lo scorso ottobre grazie a un team dell'università Harper Adams e ha ricevuto un finanziamento dal governo britannico di 200.000 sterline.

Gli studiosi hanno modificato un trattore e una mietitrebbiatrice dotandoli di telecamere, laser e sistemi GPS. Droni e un robot "scout", capaci di prelevare campioni di terreno, hanno aiutato i ricercatori a monitorare il campo da lontano (su Youtube potete vedere diversi video dei macchinari all'opera).

Kit Franklin, a capo del progetto e ingegnere agrario, ha ammesso che si è trattato dell'ettaro di orzo più costoso di sempre, ma anche che, battute a parte, è un assaggio di quello che verrà.

"L'automazione è il futuro dell'agricoltura, ma siamo in una fase in cui le macchine agricole hanno dimensioni decisamente insostenibili", ha detto Franklin al Times. Secondo lui l'agricoltura si appoggerà a veicoli più piccoli e intelligenti, che potranno lavorare con maggiore precisione senza danneggiare il suolo e di conseguenza l'andamento delle successive colture.

Anche se il progetto è andato a buon fine, non sono mancate le difficoltà. Il trattore non è riuscito a mantenere una linea rettilinea nel campo, quindi la semina è avvenuta in modo poco uniforme. Inoltre il team ha faticato a modificare rapidamente il trattore per l'irrorazione. Kieran Walsh, agronomo, ha anche espresso difficoltà nel controllare un campo tramite un video.

Insomma, forse il "contadino" non sparirà del tutto, ma dovrà evolversi: dovrà saper controllare i robot e capire se funzionano in modo corretto. Per diverso tempo le "macchine" non saranno in grado di sostituire quella capacità unica di capire e conoscere la terra che contraddistingue ogni agricoltore, ma anche quel traguardo verrà raggiunto prima o poi.

L'intelligenza artificiale sarà la chiave. Spesso ne scriviamo parlando automobili, ma l'IA troverà spazio anche in agricoltura, tanto che nelle scorse ore la John Deere ha acquistato per 305 milioni di dollari Blue River Technology, startup nata nel 2011 a Sunnyvale (California) specializzata nell'agricoltura di precisione.

Blue River Technology ha creato, tra gli altri, un sistema che si avvale del machine learning e della computer vision per ottimizzare l'uso dei pesticidi, che potranno così essere irrorati in modo più mirato. John Deere ha tutta l'intenzione di integrare questa e altre soluzioni sulle proprie macchine.

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La realtà virtuale va alla conquista del piccolo schermo

La realtà virtuale va alla conquista del piccolo schermo | Augmented World | Scoop.it

Tema caldo e decisamente attuale, l’interattività è una questione affrontata, e sperimentata, anche in campo televisivo. Ecco qualche esempio di format giocati sul coinvolgimento di utenti e spettatori, all’insegna della “mixed reality”.

La realtà virtuale, e più in generale il tema dell’interattività, sta diventando una cosa molto seria. Mentre Alejandro Iñárritu, dopo aver vinto due premi Oscar come miglior regista, ha presentato al Festival di Cannes Carne y Arena, un’installazione in realtà virtuale sul tema dei rifugiati (visibile alla Fondazione Prada di Milano fino al prossimo gennaio); mentre gli e-sports, ovvero le gare tra giocatori di videogame, sono state promosse a vere competizioni sportive, con tanto di medagliere a partire dai Giochi Olimpici Asiatici del 2022 (e a seguire probabilmente anche nelle stesse Olimpiadi); anche in tivù si è provato a non essere da meno. 


La questione merita attenzione perché, nonostante in molti la continuino a dare per spacciata, la televisione rimane tuttora la più ricca e rilevante industria dell’intrattenimento che abbiamo su scala globale. E sappiamo che più soldi ci sono, maggiore è la possibilità di investire nella ricerca e nello sviluppo.


A tal proposito, recenti ricerche elaborate da Pwc hanno confermato che gli investimenti pubblicitari delle aziende e le spese dei singoli utenti continueranno a privilegiare il comparto televisivo ancora per molti anni. Il trend evidenzia infatti una crescita che rimarrà sostenuta in tutto il prossimo quinquennio, anche grazie all’arrivo recente dei servizi di streaming delle varie Netflix, Amazon, Sky ecc. 


Il media televisione rimane inscalfibile proprio per la sua natura democratica e onnivora. Dal cinema al giornalismo, dal reality show al documentario d’arte, non c’è spettatore che non possa trovare il suo contenuto sul piccolo schermo e non c’è argomento che un network televisivo non possa inserire all’interno di uno dei tanti canali del proprio palinsesto.

“Dalle prime puntate sembra di assistere a un grande videogame in cui si vedono i concorrenti in carne e ossa calati dentro scenari molto curati, ma anche “troppo” virtuali”.

I primi veri tentativi di sperimentazione sul fronte della realtà virtuale li ha compiuti la multinazionale Sky plc che, in sinergia con Google, ha prodotto una prima serie di contenuti originali visibili dai propri abbonati esclusivamente tramite visori VR. Ce n’è per tutti i gusti: si va dal ciclo di mini-documentari sportivi Closer, in cui l’ex calciatore David Beckham ci guida dentro una serie di manifestazioni sportive, fino a Paul McCartney: Dance Tonight, in cui abbiamo la possibilità di essere di fronte all’ex Beatles mente ci presenta le canzoni del suo ultimo album, e Giselle VR, una vera e propria pièce virtuale curata dall’English National Ballet.


Nel caso non aveste ancora un visore VR per provare questi programmi, allora potete dare un’occhiata a un paio di titoli televisivi che hanno provato a lavorare in una direzione simile. Il primo si chiama Dance Dance Dance ed è un talent show di danza, visto di recente anche in Italia sul canale pay Fox Life e ideato da quel John De Mol che vent’anni fa creò il Big Brother, in cui un gruppo di ballerini viene catapultato in un mondo di realtà aumentata che dà loro la possibilità di rimettere in scena molto fedelmente le coreografie dei più famosi videoclip degli ultimi anni.

INTERACTIVE MIXED REALITY

L’altro format invece si chiama Lost in Time ed è stato creato grazie a corposi investimenti internazionali da un gruppo di creativi norvegesi capitanati da un esperto di effetti speciali che, tra la varie cose, ha lavorato anche alla trilogia cinematografica di Matrix. Quello che ci propongono è un game show in cui tre concorrenti devono affrontare prove di abilità viaggiando nel tempo. 


Dalle prime puntate sembra di assistere a un grande videogame in cui si vedono i concorrenti in carne e ossa calati dentro scenari molto curati, ma anche “troppo” virtuali. Sembra uno di quei film dove pensi che gli effetti speciali siano così tanto presenti che finiscono per non farti credere più alla storia. 


Poi, dopo aver visto anche il making of del programma, ci si rende conto che per i giocatori, costretti a giocare quasi sempre davanti a un fondale tutto verde su cui poi è stata ricostruita l’ambientazione in computer grafica, l’esperienza deve esser stata ancora meno divertente.


Si può giocare allo stesso gioco pure da casa, tramite app per tablet e smartphone, ma anche stavolta la resa pare meno accattivante di un qualsiasi medio videogame attualmente in commercio. I creatori hanno chiamato questa nuova frontiera di intrattenimento televisivo con il termine “interactive mixed reality”. A noi è sembrata soprattutto uno strano tentativo di videogame televisivo, ancora molto migliorabile.

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In Cina i negozi non hanno né personale né soldi: si fa tutto con lo smartphone

In Cina i negozi non hanno né personale né soldi: si fa tutto con lo smartphone | Augmented World | Scoop.it

Ormai sono sempre di più gli esercizi commerciali altamente tecnologici e completamente automatizzati. E il giro d’affari in Cina è di 3mila miliardi di dollari.

Che la tecnologia continui a fare passi da gigante e ci faciliti sempre di più la nostra quotidianità è ormai sotto gli occhi di tutti, ma cosa pensereste se vi dicessimo che in Cina sono sempre di più i negozi dove non c’è personale né soldi e si fa tutto grazie allo smartphone?

No, non è un progetto che deve ancora prendere piede, è la realtà quotidiana di esercizi commerciali altamente tecnologici e completamente automatizzati che si trovano sempre più numerosi in città come Pechino, Shanghai e Hangzhou. Lo smartphone funge sia da chiave di accesso al negozio che da “portafoglio”. 


Grazie infatti al sistema di pagamento digitale di WeChat, app gemella di WhatsApp molto diffusa in Cina, e ad Alipay, la piattaforma di pagamenti online di Alibaba, è possibile acquistare praticamente di tutto grazie ad un click. E lo scorso anno, stando ai numero della Better Than Cash Alliance delle Nazioni Unite, il giro d’affari via mobile in Cina è stato pari a 3mila miliardi di dollari, 50 volte maggiore rispetto a quello negli Stati Uniti.

E così in Cina sono arrivati i Bingobox, una catena di negozi alimentari che vende birre, bevande, patatine, insalate, snack, noodles, etc. e permette di pagare con WeChat. Per ora ce ne sono 12 in tutto il Paese e assomigliano ai nostri piccoli alimentari, con la differenza che non esiste personale e che sono ad alto tasso tecnologico. Per accedere basta scansionare con il proprio telefono il QR Code all’ingresso e per pagare sono sufficienti i sistemi di pagamento online appena citati.

E per gli eventuali furti? Niente paura, i sensori del negozio sono in grado di prevenire i taccheggi e di accorgersi immediatamente se qualcosa è stato sottratto o non pagato, e la mancanza viene subito attribuita al cliente malandrino.

Alibaba, colosso cinese della vendita online, ha inoltre lanciato il Tao Café, qualcosa di simile ad un autogrill automatizzato, che si trova nella città di Hangzhou, nella parte orientale del Paese. Per accedere e acquistare basta avere l’app di ecommerce Taobao e il gioco è fatto.

Questi negozi non sono ancora “perfetti”: nelle scorse settimane alcuni store sono stati chiusi per via delle alte temperature che hanno messo a dura prova il normale funzionamento delle tecnologie a disposizione.

E mentre Amazon testa il suo Amazon Go, il “supermarket senza cassa” e Zara sta compiendo importanti passi per digitalizzare la “user experience” nei suoi negozi la domanda è legittima: è questo il futuro dello shopping al dettaglio? Con lo sviluppo sempre più veloce dell’intelligenza artificiale siamo pronti a scommettere che ne vedremo delle belle.

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